Come trattiamo la nostra terra, il nostro paese, la nostra città, i luoghi comuni?
“Laudato si’, mi’ Signore”, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba»”. Così Papa Francesco introduce la meravigliosa Enciclica sulla salvaguardia del creato.
Sono parole appropriate per poter comprendere il senso della liturgia di questa domenica. Diverse sono le tematiche che si potrebbero affrontare rileggendo le parole della liturgia del giorno festivo odierno, ma mi piace condividere insieme a voi l’importanza del creato e della sua salvaguardia. È la pagina del Vangelo di Matteo che mi offre questa occasione. Si parla di vigna affidata a degli operai, i quali però se ne fanno indebitamente padroni, addirittura uccidendo i servi e lo stesso figlio del proprietario della terra. Anche il profeta Isaia nella prima lettura richiama il drammatico evento di un’indebita appropriazione terriera da parte del popolo di Israele, che anziché averne cura, rispettarla, custodirla, creare un ambiente accogliente, ne fa un campo di guerra dove gronda sangue innocente, si consumano lotte fratricide e rovi e spine fanno da barriere.
Come trattiamo la nostra terra, il nostro paese, la nostra città, i luoghi comuni? Quale immagine abbiamo dei luoghi comuni e delle nostre città? Quale contributo offriamo per la crescita dei nostri ambienti? Quale supporto siamo capaci di donare perché la terra, e quindi i luoghi in cui viviamo, sia realmente fertile e non sterile?
La terra non è proprietà privata di ciascuno di noi, quanto invece luogo di accoglienza per tutti, casa di pacifica convivenza tra gli uomini, vigna entro cui ciascuno può lavorare perché porti costantemente frutto per sé e per tutti. Sia come credenti che come cittadini del mondo noi abbiamo il dovere morale di esercitare la responsabilità verso “sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”.
Riscoprire la dimensione relazionale tra l’uomo e la terra è oggi un passo necessario da compiere. La terra è nostra madre perché è una culla che ci accoglie, ed è nostra sorella perché condivide le sorti di un processo in divenire che non sempre è chiaro per tutti.
Diversi sono i modi in cui non viviamo una relazione pacifica, materna e fraterna allo stesso tempo, con la terra. A volte esercitiamo una violenza inaudita e spietata verso il creato senza la capacità di riflettere che una certa violenza attiva si ripercuote sul nostro sistema umano. Gettare la spazzatura senza l’accortezza della raccolta differenziata; calpestare gli spazi verdi del nostro comune vivere; cementizzare gli spazi adibiti al verde; sprecare energia inutilmente e in modo superfluo; appiccare fuoco qua e là per le nostre meravigliose campagne e i nostri incantevoli monti; sotterrare residui tossici alle periferie delle nostre città; proliferare zone industriali ad alto e rischioso svantaggio per tutti; sovvertire la terra in un luogo di violenza; inquinarla con il sangue innocente; usurparla per accaparrarsi i beni naturali, tutto questo è l’atteggiamento disumano, irresponsabile e immorale che un uomo, e a maggior ragione un cristiano, può mettere in atto per rompere la sua alleanza con il cosmo. È togliere alla terra il respiro. Quel respiro che manca anche a noi.
Sembrano riecheggiare alla nostra memoria le provocatorie parole di un testo di Bob Dylan, A Hard Rain’s A-Gonna Fall, che annuncia con termini biblici una imminente catastrofe universale a causa di una dirompente involuzione cosmica. Ma a quella, a questa involuzione cui assistiamo da spettatori-protagonisti, noi alziamo la nostra voce perché liberiamo la terra dalla prigione delle nostre stesse immorali irresponsabilità e le ridoniamo la sua rubata dignità.
Restituiamo al creato il suo respiro e lui ci restituirà il nostro.
Don Onofrio Farinola
“Laudato si’, mi’ Signore”, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba»”. Così Papa Francesco introduce la meravigliosa Enciclica sulla salvaguardia del creato.
Sono parole appropriate per poter comprendere il senso della liturgia di questa domenica. Diverse sono le tematiche che si potrebbero affrontare rileggendo le parole della liturgia del giorno festivo odierno, ma mi piace condividere insieme a voi l’importanza del creato e della sua salvaguardia. È la pagina del Vangelo di Matteo che mi offre questa occasione. Si parla di vigna affidata a degli operai, i quali però se ne fanno indebitamente padroni, addirittura uccidendo i servi e lo stesso figlio del proprietario della terra. Anche il profeta Isaia nella prima lettura richiama il drammatico evento di un’indebita appropriazione terriera da parte del popolo di Israele, che anziché averne cura, rispettarla, custodirla, creare un ambiente accogliente, ne fa un campo di guerra dove gronda sangue innocente, si consumano lotte fratricide e rovi e spine fanno da barriere.
Come trattiamo la nostra terra, il nostro paese, la nostra città, i luoghi comuni? Quale immagine abbiamo dei luoghi comuni e delle nostre città? Quale contributo offriamo per la crescita dei nostri ambienti? Quale supporto siamo capaci di donare perché la terra, e quindi i luoghi in cui viviamo, sia realmente fertile e non sterile?
La terra non è proprietà privata di ciascuno di noi, quanto invece luogo di accoglienza per tutti, casa di pacifica convivenza tra gli uomini, vigna entro cui ciascuno può lavorare perché porti costantemente frutto per sé e per tutti. Sia come credenti che come cittadini del mondo noi abbiamo il dovere morale di esercitare la responsabilità verso “sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”.
Riscoprire la dimensione relazionale tra l’uomo e la terra è oggi un passo necessario da compiere. La terra è nostra madre perché è una culla che ci accoglie, ed è nostra sorella perché condivide le sorti di un processo in divenire che non sempre è chiaro per tutti.
Diversi sono i modi in cui non viviamo una relazione pacifica, materna e fraterna allo stesso tempo, con la terra. A volte esercitiamo una violenza inaudita e spietata verso il creato senza la capacità di riflettere che una certa violenza attiva si ripercuote sul nostro sistema umano. Gettare la spazzatura senza l’accortezza della raccolta differenziata; calpestare gli spazi verdi del nostro comune vivere; cementizzare gli spazi adibiti al verde; sprecare energia inutilmente e in modo superfluo; appiccare fuoco qua e là per le nostre meravigliose campagne e i nostri incantevoli monti; sotterrare residui tossici alle periferie delle nostre città; proliferare zone industriali ad alto e rischioso svantaggio per tutti; sovvertire la terra in un luogo di violenza; inquinarla con il sangue innocente; usurparla per accaparrarsi i beni naturali, tutto questo è l’atteggiamento disumano, irresponsabile e immorale che un uomo, e a maggior ragione un cristiano, può mettere in atto per rompere la sua alleanza con il cosmo. È togliere alla terra il respiro. Quel respiro che manca anche a noi.
Sembrano riecheggiare alla nostra memoria le provocatorie parole di un testo di Bob Dylan, A Hard Rain’s A-Gonna Fall, che annuncia con termini biblici una imminente catastrofe universale a causa di una dirompente involuzione cosmica. Ma a quella, a questa involuzione cui assistiamo da spettatori-protagonisti, noi alziamo la nostra voce perché liberiamo la terra dalla prigione delle nostre stesse immorali irresponsabilità e le ridoniamo la sua rubata dignità.
Restituiamo al creato il suo respiro e lui ci restituirà il nostro.
Don Onofrio Farinola
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