Durante questo mese ci lasciamo guidare dall'elaborato "Giuseppina Vannini Il carisma di fondatrice" presentato come tesi per conseguire il grado accademico di Magistero in Scienze Religiose di Suor Maria Herminia Dieguez nell'anno 1990.
Coraggio e fermezza
Il coraggio indica la robustezza del cuore e la solidità psicologica di chi sa reagire a forze contrastanti, e soprattutto alla paura del rischio, che una scelta difficile sempre comporta: questo coraggio si manifesta nel sapere comprovare e sostenere le proprie scelte quotidiane e nel saperne portare le conseguenze; si esprime poi nella fermezza, nello sforzo di essere coerenti per restare autentici, disponibili a rivedere le proprie posizioni quando le circostanze lo suggeriscono.
La Vannini era dotata sia di coraggio naturale sia della virtù soprannaturale della fortezza cristiana, che deriva dalla speranza. Era una donna forte.
Donna forte che conservava, per altro, la sensibilità propria di una persona cresciuta nella sofferenza fin dalla più tenera età. Ha saputo essere forte e difendere la propria vocazione quando il fratello Augusto l'avrebbe voluta accanto nel desiderio di ricostruire in certo modo la famiglia. Così pure l'ha saputa custodire nelle difficoltà e aspettare con paziente attesa l'ora di Dio, perché, «con la pazienza, tutto si vince; a chi teme Dio nulla manca; Dio solo basta».
Sin dalle prime tappe di preparazione al futuro compito che attendeva, Giuditta si era nutrita del duro pane della sofferenza delle contraddizioni, crocifissa, simile al Crocifisso in una vita continuo rinnegamento.
Aveva come faro illuminante la volontà di Dio e rimanendo essa ancorata, non si è lasciata scoraggiare né dai limiti personali, ne dagli ostacoli ambientali.
Riguardo alla proposta di fondazione fattale da P. Tezza, del 17 dicembre 1891, la Vannini osservava: «seguii man mano l'opera del Signore senza che del mio fosse la più piccola parte poiché ai aveva sognato quanto avveniva ed era lungi dal credermi atta a aie scopo».
Ho detto che la Vannini era una donna forte maturata nel dolore, perché aveva la missione di portare avanti una grande impresa, come quella di fondare una nuova famiglia rispondente a un'istanza della Chiesa e della società in un momento preciso della storia. Devo aggiungere però che, allo stesso tempo, c'era in lei un'anima di fanciulla per la sua semplicità; si lasciava guidare sempre dal consiglio del suo Direttore spirituale, della sua maestra e, più tardi, delle stesse suore. Rifulgeva soprattutto in lei l'abbandono nel Signore, proprio come dice il Salmista, alla maniera d'un «bimbo svezzato» (Ps 130,2). Questo atteggiamento si riscontra nel corso di tutta la sua vita: «Ebbi fiducia nel Signore e non restai delusa; in eterno benedirò il mio Dio, che è ammirabile nelle sue vie».
continua....
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