Lo sguardo del perdono di padre Luciano Sandrin, religioso camilliano

LUCIANO SANDRIN, Lo sguardo del perdono, Editoriale Romani, Savona 2022.


Dall’introduzione

Oggi si parla molto di perdono. Sono molte le esperienze – offese, violenze, tradimenti e altre ferite ancora – che riportano a galla la domanda di sempre: perdonare sì o perdonare no? E sono diverse le risposte che chiamano in causa la giustizia e la misericordia, il giusto processo e il perdono, gli altri e noi, la società e Dio. A volte anche a me è venuto da dire: «Dio perdona, io ci provo!».

A trattare questo tema ci sono filosofi, moralisti e teologi. Da un po’ di tempo anche gli psicologi hanno cominciato a dire la loro sul perdono: ciò che è e ciò che non è, i vari fattori che lo influenzano, il processo che lo caratterizza, la dinamica del perdono tra individui e del perdono tra i gruppi sociali, il perdono rivolto agli altri e verso se stessi, e anche il perdono verso Dio, i suoi effetti terapeutici e liberatori, le diverse difficoltà nel perdonarsi anche nelle comunità religiose e tra gruppi che si dicono cristiani.

La psicologia sottolinea, in modo particolare, le somiglianze, le differenze e i rapporti tra perdono e riconciliazione. Se l’ideale è “camminare” lentamente dal perdono alla riconciliazione, la realtà può essere più complessa ed anche complicata. La riconciliazione è un cammino più impegnativo del perdono. E non è sempre possibile, a volte non è nemmeno consigliabile, per il rischio di una reiterazione dell’offesa o dell’abuso.
Possiamo essere offesi dalla persona che amiamo, da un estraneo che incrociamo lungo la strada, da un avversario o da un nemico. L’impatto psicologico è diverso. Spesso anche noi offendiamo, a volte volutamente e a volte senza volerlo. A volte crediamo di averlo fatto anche se non è vero. 
Perdonare e sentirsi perdonati ci cambia la vita. È salutare. Ci fa star bene. Come non perdonare e non essere perdonati ce la può complicare. Il perdono è liberante, il non perdono ci imprigiona nel passato e blocca le risorse che potremmo spendere più fruttuosamente in futuro.

Tutti abbiamo bisogno, in certi momenti della vita, di perdonare e di essere perdonati. Senza perdono si finisce per rimanere ostaggi del male fatto o subito, prigionieri nel ruolo di “vittima”, aspettando l’improbabile primo passo dell’altro, convinti che la colpa sia sempre e solo sua. E così continuiamo a soffrire, vivendo in un costante risentimento, ruminando ricordi, consumando energie emotive e intellettive (con ricadute anche sulla salute corpo) che potrebbero essere investite molto meglio. Si rimane prigionieri del passato sciupando le opportunità che il presente offre, incapaci anche di immaginare un futuro relazionale diverso, affettivamente soddisfacente. Si riconosce alla vendetta l’ultima parola, un potere risolutore e terapeutico sulla propria sofferenza, che essa non può e non deve avere, finendo invece per restarne schiavi. E sprechiamo il tempo prezioso della nostra vita.

Il cammino del perdono e della riconciliazione è un cammino di guarigione delle ferite, dei ricordi, delle emozioni e delle relazioni. La “psico-logia” può essere utile per capire la complessità del perdono e della riconciliazione, per aiutare a risolvere conflitti e prevenire situazioni che fanno particolarmente soffrire. Ma il perdono e la riconciliazione hanno a che fare anche con i valori di riferimento, con la nostra spiritualità e con le nostre credenze religiose, con la nostra “teo-logia”. La grazia di Dio sfugge all’osservazione e al controllo della psicologia, e alle sue leggi, ma non per questo è meno reale. In questo libro sottolineo, in maniera esplicita o implicita, il rapporto fecondo tra psicologia e teologia, anche in prospettiva pastorale.

Ho scelto il titolo, Lo sguardo del perdono, perché un giorno ho riletto nel Vangelo di Luca che «il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro»: uno sguardo perdonante quello di Gesù verso l’apostolo proprio mentre lo stava rinnegando per la terza volta. È lo sguardo di un amore che perdona e che invita al pentimento. E Pietro ha colto l’intensità di quello sguardo e il suo messaggio liberante perché «uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22, 61-62).
Il perdono inizia dallo sguardo e nello sguardo si esprime: un nuovo sguardo verso l’altro ma anche verso se stessi, verso Dio e verso le immagini che abbiamo di Lui, uno sguardo diverso sulle situazioni vissute, cambiando la prospettiva e allargando gli orizzonti, usando in particolare la lente dell’amore. E altro ancora. È lo sguardo degli occhi, ma è soprattutto lo sguardo del cuore. 

Lo sguardo del perdono è lo sguardo di un cuore attento, di «un cuore che vede», secondo il linguaggio di Benedetto XVI nella Deus caritas est. Perché «non si vede bene che con il cuore»: è questo anche il segreto che la volpe svela al Piccolo Principe.
Il perdono parte dallo sguardo, lo purifica e lo trasforma.

Luciano Sandrin, M.I.




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