29 settembre - Celebrazione Eucaristica - Professione Solenne - 2° e ultima parte.

Omelia padre Gianfranco Lunardon MI
Michele: che è come Dio?
Gabriele: forza di Dio
Raffaele: medicina di Dio
Questi arcangeli – di cui celebriamo oggi la festa liturgica – sono molto fortunati: non tanto perché vivono permanentemente alla presenza di Dio, ma perché portano Dio (EL-ELOHIM) nel loro nome; perché la loro stessa identità è segnata da Dio; perché non possono nominare se stessi senza nominare anche Dio!
Credo che questo sia anche il senso della nostra consacrazione religiosa: spesso noi pensiamo alla nostra vita consacrata sempre in proiezione esterna. Mi consacro per fare, per aiutare, per curare, per salvare, per ospitare, per accogliere, … per ….
Ma questo è vero solo in seconda istanza, in seconda battuta.
“Lo stato religioso imita più fedelmente e rappresenta continuamente nella Chiesa la forma di vita che il figlio di dio abbracciò venendo nel mondo per fare la volontà del padre e che propose ai discepoli che lo seguivano” (LG 44).
Io mi consacro permanentemente al Signore per fare spazio a Dio, per permettergli di entrare nella mia vita, per permettergli di essere non Ospite passeggero ma Signore stabile della mia storia/vita (Dio lo accolgo nel “salotto buono e formale” dove è tutto formalmente perfetto o in “cucina” dove il disordine dice il flusso vitale ed appassionato della vita?), di entrare per fare ordine, secondo il suo stile, i suoi tempi, le sue regole.
Gli permetto di entrare nei miei amori e nei miei affetti (castità), nella mia libertà (obbedienza), nelle mie priorità, attese e progetti (povertà) …
Altrimenti che senso ha:
Professare la castità se non sono capace di amare…
Professare l’obbedienza se non sono capace di disponibilità…
Professare la povertà se non sono libero e sono concentrato sul mio IO…
Il rischio rispetto al quale anche papa Francesco ci mette in guardia è quello di concepire e vivere la propria vocazione come uno stato di privilegio spirituale che permette di mascherare al meglio le proprie fragilità e persino incapacità, creando la possibilità così di avere non solo uno spazio nella società, ma persino un prestigio ed una responsabilità che altrimenti non si sarebbe mai in grado di conquistare; oppure quando la percezione della propria vita si identifica con un senso di superiorità morale (cfr. una certa prassi di perdono…) che, sotto l’apparenza della compassione e dell’intercessione, nasconde un certo disprezzo nei confronti degli altri (Mt 23,13: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare”).

NON HA MOLTO SENSO RINUNCIARE A TUTTO, METTENDOSI POI AL RIPARO DA TUTTO!
La PROFEZIA SOFFERTA è il frutto del passaggio necessario – come quello sofferto da Elia, dal monte Carmelo alla teofania dell’Horeb (1Re 19) – dal desiderio iniziale di perfezione, in cui si annida sempre una dose di narcisismo e di eroismo, alla scelta di perseverare nella propria scelta, in piena coscienza dei propri limiti e nella capacità di assumere serenamente la propria povertà. Tutti i santi hanno conosciuto, in un modo o in un altro, questa tappa. Non l’hanno superata in un irrigidimento volontaristico attorno all’ideale di santità che li aveva messi in cammino; hanno accettato la loro povertà e vi hanno scoperto un nuovo volto di Dio, accogliendo quella che possiamo definire una “seconda chiamata”. Chiamata a scoprire la tenerezza e la gratuità dell’amore di Dio per quei peccatori che siamo noi; chiamata ad accogliere la potenza dello Spirito che trionfa nella nostra debolezza, che non è soltanto quella del credente esiliato in un mondo ostile, ma anche quella del peccatore che scopre in se stesso fragilità e consenso davanti alla tentazione. La sera del venerdì santo, Pietro non era soltanto solo e disarmato per difendere il suo maestro, ma era diviso, minato dalla paura e dal dubbio, lui che si era detto pronto a morire per il Cristo. È nella scoperta e nell’umile accettazione del suo essere peccatore che troverà la forza di diventare per i suoi fratelli la “pietra” su cui la loro fede potrà appoggiarsi. È proprio nel momento in cui non può più nulla, né nulla promettere che Cristo gli riconferma la missione e lo chiama nuovamente a seguirloDinanzi a questa “seconda” chiamata – battezzato nelle sue stesse lacrime – Pietro scopre che non è più tenuto ad essere quel discepolo che aveva sognato d’essere, ma che sarà condotto, ormai, da un Altro e che è bene così.

In che cosa consiste la nostra vita religiosa? Consiste nell’ESERCITARCI col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall’amore del mondo. Il recipiente da riempire deve essere SVUOTATO. Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male.  Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna GETTAR VIA il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura PULIRE il vaso, pulirlo faticosamente coi DETERSIVI, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino».(Cfr. Trattato sulla Prima lettera a Giovanni (4, 6) sant’Agostino). E lo scandalo che la gente e i giovani patiscono di più quando si accostano alla vita consacrata è l’assenza di una vita vera, l’insignificanza, la tristezza, la banalità, la rigidità, la burocrazia. Trovano la nostra vita già PIENA di tante cose, di tante preoccupazioni, … Quali sono le attese e le speranze della gente per la vita consacrata? Si aspettano che sia VITA, che sia viva! Perché ciò che è consacrato, vino, pane o persona che sia, manifesta in maniera epifanica la sua “destinazione d’uso”: dedicato al Vivente, alla Vita, alla Risurrezione. La VITA RELIGIOSA è primariamente “VITA”. Ossia movimento, cammino, strada prima di tutto. Questo non è scontato: il Vangelo è pieno di “morti che camminano”, sono vivi, perfetti, ma sono “di plastica”, non profumano né di cielo né di terra: il fariseo al tempio, gli accusatori della peccatrice, Simone il fariseo, gli apostoli (“tutti ti cercano…”; “facciamo tre tende…”; “mandali a comprarsi il pane…”)… ossia persone religiose ma che non sono “pronte a rispondere con sapienza evangelica alle domande poste oggi dall’inquietudine del cuore umano e dalle sue urgenti necessità” (VC 81), al più ripropongono come dei grammofoni sempre la solita musica! Ma nessuno si può dare la vita da solo, nemmeno un’ora, come ammonisce Gesù nel discorso della montagna (cf Mt 6,27). La vita la riceviamo in dono, anche noi, noi che l’abbiamo stesa sul pavimento nel giorno della nostra professione solenne dei voti. E quindi l’abbiamo perduta. Noi più di tutti gli altri abbiamo bisogno che Dio ce la restituisca ogni giorno perché di nostro non abbiamo più nulla!

Che cosa si aspetta la gente, i giovani dalla Vita Consacrata? Che sia capace di stare di fronte a loro in modo adulto, senza eludere le domande. Si aspettano di trovarti quando dopo una lunga fuga stremati tornano indietro. E con i cocci di esperienze devastanti chiedono di depositare il cuore senza essere giudicati. E così scopri che Dio ti ha consacrato per giustificare, cioè per dare a ciascuno secondo giustizia, quella giustizia che nel Vangelo è tutto l’amore che può riempire il vuoto scavato dal peccato e dalle ferite della vita. 
Imparare a vivere da Risorti è la grande eredità del nostro Battesimo. Perché risorti lo siamo già, ma “attivare” tutta la potenza della risurrezione di Cristo in noi è la scommessa che ci impegna lungo tutto il cammino della vita.
In un cammino che non possiamo fare da soli e che comunque non si improvvisa. Innanzitutto bisogna ripartire dalla dimensione creaturale della persona umana. Che siamo creati perché amati, che al cuore della nostra esistenza c’è una volontà buona, un desiderio, questo va riannunciato con forza! Per strappare le persone dallo scetticismo e dalla sfiducia, dalla rassegnazione di esistere per caso e dal non senso. Noi siamo stati creati proprio il sesto giorno tra l’altro, quindi creati con nel cuore il desiderio del compimento, perché attratti dalla bellezza del settimo. Siamo chiamati, dunque, a svelare con la nostra vita che il vuoto non è limite, ma possibilità.

Si può intuire allora che ciò che papa Francesco sta dicendo ad alta voce, è quanto ormai tutti o quasi-tutti pensavamo: la Vita Consacrata c’è, non per altro, se non per “SVEGLIARE IL MONDO” (novembre 2013 all’Unione dei Superiori Generali), anche perché non si capirebbe perché noi stessi, ciascuno di noi abbia scelto proprio lo stato della VC come scelta di vita per profilare la sua vita personale!!

[...] La Vita Consacrata deve essere lievito nella Chiesa, perché la Chiesa sia lievito nel mondo – pare di intuire ora …
… e se il LIEVITO perde il suo vigore (Lc 13,21), o si approssima a quello di scribi e farisei (Mt 16,6), o è letteralmente lievito vecchio (1Cor 5,7)?
… e se il SALE perde il giusto grado di sapidità (Mt 5,13) e/o io lo sostituisco continuamente con il miele?
… e se la LUCE si affievolisce o la lampada va a finire sotto il letto (Mc 4,21) o peggio finisce la scorta strategica, sensata e prudente dell’olio (Mt 25,1ss) o peggio ancora deliberatamente “preferisco/amo le tenebre” (Gv 3,19)? 
… e se le FONDAMENTA che pensavo essere imbullonate sulla roccia, si stanno rivelando o le sto sperimentando – dopo qualche movimento tellurico – un po’ sabbiose (Mt 7,26)?
… e se il loglio è ben avvitato al punto giusto di strangolamento della mia bella e bionda SPIGA DI GRANO (Mt 13,25)?
… e se per tanti motivi (paura, pigrizia, disgusto, stanchezza, apatia, indifferenza, …) continuo a viaggiare a scartamento ridotto, accontentandomi di custodire il TALENTO in un fazzoletto perfetto e sempre bello lindo (Lc 19,20) e/o accontentandomi di far fruttare LA SEMENTE “al trenta per uno” invece che puntare e pregare e chiedere di poter raggiungere magari “il quaranta per uno” “se non proprio esageratamente il cento per uno” del mio raccolto! (Mt 13,23)?
… e se continuo ad oscillare tra l’ADORAZIONE DI DIO stile-Magi (Mt 2,2) e quella stile-Erode (Mt 2,8)?
… e se dispenso BACI al Signore fluttuando tra il rossetto della peccatrice (Lc 7,38) e il bacio comprensivo di abbraccio di Giuda (Mt 26,49)?
… e se CERCO Dio in un mix tra stile-Erode (Mt 2,13), stile-genitori di Gesù a Gerusalemme e risposta smagata del giovanotto Gesù (Lc 2,44), stile-Pietro e company sul lago di Tiberiade (Gv 1,38), stile-popolo e soldati al Getsemani (Gv 18,4), stile-folla di ammalati davanti alla casa di Pietro (Mc 1,37), stile-Maddalena e donne nel giardino al mattino di Pasqua (Lc 24,5)?
… e se la VOCE DEL PASTORE “quello bello”, la faccio entrare un po’ troppo spesso in concorrenza con quella di altre suadenti sirene ma non altrettanto belle (Gv 10,11ss)? [...]
Solenne benedizione 
"Figlia carissima, prendi nelle tue mani questo cero, 
simbolo di purezza e di fervore perché nell'ultimo giorno ...
assieme alle vergini prudenti, con la lampada accesa delle buone opere 
vada incontro al tuo Sposo e con lui possa entrare nelle nozze eterne"
"Figlie carissime, voi fate ora definitivamente parte di questa famiglia delle Figlie di San Camillo e d'ora innanzi tutto sarà in comune fra noi."
[...] Isacco il Siro – monaco siriaco del VII secolo – ha detto che per pregare bisogna immergersi nel profondo, come fanno i cercatori di perle. 
Questa immagine mi ha sempre affascinato. 
LA PERLA, NON È FORSE UNA LACRIMA, UNA FERITA CICATRIZZATA? 
Ma per trovare la perla occorre immergersi. Immergersi nel dolore, in quella morte che aspira alla vita. Immergersi nella pasqua di Gesù. Ogni forma di consacrazione è – cosciente o ignara un’immersione nella Pasqua di Gesù. 
 Sr. Lizel e Sr. Jancy
 Sr. Magdalena e Sr. Yvette

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