Luciano Sandrin - camilliano
(Da: SANDRIN L., Aiutare gli altri. La psicologia del buon samaritano, Paoline, Milano 2013, pp. 76-84)
Sulla scia del buon Samaritano della parabola, San Camillo de Lellis è stato un vero continuatore della compassione di Gesù Buon Samaritano verso i malati che, come ci ricorda il Vangelo di Matteo, sono lo stesso Gesù.
Camillo de Lellis nacque a Bucchianico (Chieti), una piccola città dell’Abruzzo il 25 maggio 1550, figlio di Giovanni e di Camilla Compelli che aveva quasi sessant’anni quando lo diede alla luce.
Giovanni affida il figlio a Camilla e riprende la propria attività di capitano di ventura, a servizio del miglior esercito offerente. Camillo cresce spensierato, instabile e ignorante.
La madre Camilla muore, di crepacuore e di vecchiaia, quando lui ha solo tredici anni. Il padre Giovanni torna spesso a Bucchianico perché ora è comandante della fortezza di Pescara. Ma una presenza così saltuaria non serve a niente e Camillo continua a essere un discolo: dadi e carte sono la sua passione.
Il ragazzo, non appena ha l’età giusta, segue il padre Giovanni de Lellis, nella carriera delle armi. Passando per Ancona, sulla strada per raggiungere la Repubblica di Venezia, padre e figlio cadono malati. Giovanni non ce la fa. Camillo è con lui e l’assiste nell’agonia. Lo seppellisce e ritorna a Bucchianico.
Camillo è solo e depresso. Ha una vescichetta nella gamba destra che, stuzzicata, diventa purulenta. È anche stanco di se stesso, della sua giovinezza balorda, fallita. E comincia l’andirivieni di Camillo tra conventi, l’ospedale di san Giacomo e il ritorno alle armi: un’anima alla ricerca, un’anima in pena. E ancora il gioco... il giocarsi tutto, anche la camicia, per tentare la fortuna.
Dopo varie peripezie torna a Manfredonia dai cappuccini. E qui avviene la conversione. Padre Angelo l’accoglie cordialmente e gli parla. Camillo quella notte dorme male. Si chiede che cosa Dio possa volere da lui e come possa ottenere perdono e pace, come possa cambiare la propria vita una volta per sempre. Quando al mattino del 2 febbraio 1575 riprende la via per Manfredonia in groppa all’asinello improvvisamente si trova a terra, ginocchioni, in preghiera. Piange: un pianto liberatore. È il primo vero incontro con Dio.
Fu una conversione definitiva. Ottenne di vestire l’abito di San Francesco. Ma la solita piaga si riaprì. E in seguito dovette lasciare l’abito dei cappuccini.
Si cura all’ospedale di S. Giacomo. Dimesso come malato viene assunto come garzone, ossia inserviente. E via via, in varie riprese, diventa infermiere, maestro di casa (un misto fra economo e capoinfermiere). Ma nella situazione particolare di quegli anni, essere maestro di casa significava vedere tutto e poter riformare molte cose. E Camillo sente l’urgenza di essere meno ignorante. Per questo comincia a studiare, comincia da se stesso. E intanto, per cambiare le cose, comincia dalla trasformazione delle persone e dalla lotta contro gli usi e abusi ormai radicati.
Camillo ci pensa, ci ripensa, prega, si consiglia. E capisce che bisogna cominciare dai valori spirituali. E, intanto lui per primo è disponibile ad assistere i malati più difficili. Ben presto però si convince che non bastava da solo a servirli. E una notte ha l’ispirazione di radunare una “compagnia” di uomini che si dedicassero con lui agli ammalati solo per amore di Dio. Era la vigilia dell’Assunta dell’anno 1582. Inizia i primi passi con cinque amici volontari e non stipendiati. Ma gelosie, calunnie, ostacoli a non finire intralciavano il suo progetto. Camillo vuol mollare tutto. Un giorno, mentre era assorto in preghiera, viene prodigiosamente incoraggiato dal Crocifisso: «Di che ti affliggi pusillanime? Continua, che io sarò con te e t’aiuterò; questa è opera mia e non tua!». Per evitare contrasti, dall’ospedale di San Giacomo si trasferisce all’ospedale di Santo Spirito, sulla riva del Tevere.
San Camillo comincia a studiare teologia per farsi sacerdote, preso dalla convinzione che il malato va curato anima e corpo.
Si possono contare sulle dita di una mano i membri della Compagnia dei servi degli infermi. Una pianticella! Eppure il 18 marzo 1586 viene riconosciuta ufficialmente da Papa Sisto V la “Compagnia dei Ministri degli Infermi” e come distintivo una croce di panno rosso sul petto.
Nuova sede - la casa madre dell’Ordine dei Ministri degli Infermi (camilliani) - diventano i locali annessi alla chiesa della Maddalena, vicino al Pantheon. Camillo divide il suo tempo tra preghiera, presenza alla Maddalena, assistenza a domicilio, attività nell’ospedale Santo Spirito. Ha trovato la perla preziosa e ammonisce i suoi religiosi a servire, assistere, consolare i malati, perché questo era il fine del nuovo Ordine. E ricordava loro che «chi serve e assiste gli infermi e i poveri serve e assiste Cristo nostro Redentore».
In breve tempo i camilliani si diffondono da Roma anche in altre città d’Italia, e anche oltre.
Camillo malato e infermiere, infermiere e sacerdote, fratello e sacerdote. Un santo che ricorda ai suoi che è beato chi impiegherà il talento che gli è stato affidato e lavorerà nella vigna del Signore - l’ospedale - con una vita di abnegazione e di carità verso le membra sofferenti di Cristo! Ed è beato chi può essere accompagnato al tribunale di Dio da una lacrima, da un sospiro, da una benedizione dei malati. Tante volte ripete ai suoi: «I poveri e gli infermi ci faranno vedere il volto di Dio».
Prostrato dalle fatiche e da varie malattie, Camillo de Lellis muore a Roma il 14 luglio 1614, alla Maddalena, la Casa-madre dell’Ordine, che custodisce le sue spoglie, le sue reliquie e i suoi scritti. E custodisce il suo cuore.
«Mettete più cuore in quelle mani!», ripeteva continuamente ai confratelli, che per lui non facevano abbastanza. Come a dire che anche le migliori cure devono essere fatte con il cuore.
Ci lascia un’eredità ancora oggi attuale: assistere i malati e prendersi cura di chi soffre con l’amore che è tipico di una madre.
Ringraziamo padre Luciano per questa bella condivisione!
Commenti
Posta un commento