Itinerario umano, spirituale e pastorale di P. Luigi Tezza (3)

 3. Il cuore di Padre: la fondazione delle "Figlie di San Camillo".

di p. Angelo Brusco, religioso camilliano


Questa data costituisce l'inizio della terza tappa della sua vita, che dura fino al 1900, anno in cui si reca a Lima, Perù, come visitatore apostolico di quella fondazione camilliana. La nuova carica esige la permanenza a Roma. Il soggiorno nella città eterna è caratterizzato soprattutto dalla fondazione dell'Istituto delle Figlie di San Camillo, nel 1892.

Per comprendere l'originalità di questa fondazione, è necessario fare un accenno a San Camillo de Lellis, fondatore dei Ministri degli Infermi (Camilliani). Nel decreto di canonizzazione, Benedetto XIV definì San Camillo de Lellis "iniziatore di una nuova scuola di carità". Tra gli elementi innovativi dell'opera di Camillo, uno va ricordato in modo particolare: il principio della totalità nel servizio del malato. Non solo chi soffre dev'essere assistito nella globalità del suo essere, ma anche chi lo cura ed accompagna - sia egli operatore sanitario o pastorale, professionista o volontario - è chiamato ad investire nell'attività assistenziale
la totalità della propria persona. Nel progetto della riforma attuata da Camillo, la preoccupazione del miglioramento tecnico dell'assistenza è, quindi, accompagnata costantemente dall'appello all'investimento affettivo. La biografia del Santo registra tutta una serie di messaggi attraverso i quali egli diffondeva tale filosofia dell'assistenza. Famosa è rimasta l'esortazione da lui rivolta agli operatori sanitari: "Più cuore in quelle mani!". Nelle "Disposizioni e modi che si devono seguire negli ospedali nel servire i poveri infermi",
Camillo presenta in maniera più sistematica le sue innovazioni nel campo assistenziale. Le regole che riguardano le cure infermieristiche sono accompagnate da altre in cui viene richiamata l'urgenza d'una calda umanità, senza la quale la relazione tra operatore sanitario e malato rimarrebbe ad un livello solo funzionale.

Per qualificare l'atteggiamento che deve caratterizzare chi assiste gli infermi, Camillo fa appello all'amore materno : "Per prima cosa ognuno di noi chieda al Signore la grazia di un affetto materno verso il suo prossimo, così che possiamo servirlo con ogni carità nell'anima e nel corpo. Infatti con la grazia di Dio desideriamo servire tutti gli infermi con quell'affetto che una madre amorevole suole avere verso il suo unico figliolo infermo". La forza trasformante del carisma della carità misericordiosa verso gli infermi ha portato Camillo - quest'uomo che fino all'età di 25 anni aveva esercitato in maniera disordinata il rude mestiere delle armi - a sviluppare, nel servizio degli ammalati, qualità e atteggiamenti che sono tipici dell'anima femminile, integrandoli armoniosamente alla sua ricca e forte personalità.

Fondando, unitamente a Madre Giuseppina Vannini, l'Istituto delle Figlie di San Camillo, P. Tezza coopera a dare ulteriore sviluppo e espressione alla dimensione femminile del carisma camilliano - il dono della carità misericordiosa verso gli infermi -, già messa in luce dal Fondatore dell'Ordine dei Ministri degli Infermi, arricchendolo di quelle qualità e atteggiamenti che sono tipici del genio femminile: la ricettività, la disponibilità, la tenerezza, l'accoglienza, la capacità di ascolto, l'intuizione, la sensibilità nel cogliere le situazioni, l'attitudine a farsi carico dei problemi altrui, l'inclinazione ad offrire il proprio aiuto. Ecco la strada della piena realizzazione della femminilità che il Tezza indica alle sue Figlie: incontrare nei malati lo Sposo (Mt 25,40) e servirli con cuore di madre. La Vannini, prima di essere confondatrice, è stata discepola di P. Tezza, cogliendone e sviluppandone l'ispirazione. Di lei è stato autorevolmente scritto che "fu amorosamente vicina e premurosa madre nei confronti delle sorelle della Congregazione, degli ammalati e dei poveri... sollecita com'era della loro salvezza spirituale e corporale; e insegnava alle suore a comportarsi allo stesso modo".

Alcune illuminanti espressioni della Mulieris Dignitatem consentono di comprendere la profondità e l'attualità del messaggio del Tezza e del carisma camilliano di cui egli è stato interprete originale. Se "Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno", afferma Giovanni Paolo II, "questo affidamento riguarda in modo speciale la donna - proprio a motivo della sua femminilità - ed esso decide in particolare della sua vocazione" (n. 30). 

Questo vale soprattutto in un contesto socio-culturale in cui i successi della scienza e della tecnica, favorendo un progresso disomogeneo, possono "comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l'uomo, per ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, continua il Pontefice, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel 'genio' della donna che assicuri la sensibilità per l'uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo!"( ib.).

In un illuminato discorso alle Figlie di San Camillo, Giovanni Paolo II indica apertamente il posto e la funzione del carisma camilliano, significativa manifestazione del 'genio' femminile - nella comunità ecclesiale: "Il vostro carisma del servizio ai malati che vi distingue nella chiesa, anche in forza di un quarto voto, è un dono e un compito che vi colloca al cuore della vita e della missione della chiesa, che è sacramento, segno e strumento cioè dell'amore di Dio verso tutto l'uomo e tutti gli uomini, con particolare attenzione a piccoli, ai malati, ai peccatori".
Per le caratteristiche tipiche del 'genio femminile', il carisma camilliano ricorda alla chiesa la necessità di realizzare costantemente le espressioni di Isaia, applicate dal Vangelo (Mt 8,17) al Cristo: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie... Dalle sue piaghe siamo stati guariti" (Is 53,11). La prima strada da seguire per assicurare "la sensibilità per l'uomo in ogni circostanza", non è forse quella fatta di "silente vicinanza nel dolore", di grandezza che si fa accoglienza e servizio verso i poveri, i deboli, le vittime della malattia e della morte, ad imitazione di Maria, premurosa verso Elisabetta, attenta durante le nozze di Cana, presente accanto al Cristo morente?

Quando non si privilegia questa strada, non vi è forse il rischio che le grandi battaglie per difendere la vita e i diritti del malato, per impedire che la logica tecnica s'imponga sulla logica etica, per promuovere l'umanizzazione del servizio verso chi vive la difficile stagione della sofferenza si riducano a semplice dimostrazione di prestigio e di potere? La fondazione dell'Istituto delle Figlie di San Camillo mette in luce diverse caratteristiche del Tezza.

Innanzitutto indica la maturità spirituale dal lui raggiunta. Poco a poco, attraverso svariate esperienze, egli è riuscito a raggiungere quella fase del suo itinerario esistenziale in cui la persona umana è chiamata a generare vita, fisica o spirituale. La fase della pur sana affermazione dell'io si attenua per lasciar luogo all'emergere di altre esigenze della persona, prima rimaste nell'oblio. L'individuo si unifica maggiormente mettendo la totalità del proprio essere a servizio di una causa, nel caso di P. Tezza, a servizio del Signore e del prossimo. Per comprendere come egli sia giunto al punto di capire che vale la pena vendere tutto per acquisire la perla della carità misericordiosa verso gli infermi, bisogna esplorare attentamente la sua esperienza, cogliendo in tanti episodi separati l'unica fiamma dell'amore soprannaturale. Egli è stato un mistico nell'esercizio del ministero verso gli infermi, cioè è stato capace di fare esperienza di Dio nel rapporto con i malati. Anche il suo linguaggio ne veniva trasformato. Lavorando nell'ospedale di Roma, durante la sua missione di vicario generale dell'Ordine, egli, come S. Camillo, parlava del profumo della carità, dell'ospedale come suo vero paradiso in terra.

In secondo luogo, la fondazione dell'Istituto delle Figlie di San Camillo consente di conoscere la particolare maniera con la quale il Tezza esprimeva la sua affettività. Ancor da giovane, egli si dimostrò molto espressivo affettivamente. Le sue lettere al P. Artini, suo superiore, sono ricche d'effusioni sentimentali, fino a raggiungere l'esagerazione. Con il passare degli anni, egli maturò nella sua maniera di manifestare l'affetto. Nei suoi rapporti con la la Beata Giuseppina Vannini e le Figlie di San Camillo egli è capace di affetto e di tenerezza, pur mantenendo un tono più sobrio. Leggendo le sue lettere non si può fare a meno di rapportarle alle lettere di amicizia spirituale di San Francesco di Sales. Uno stile che potrebbe far arricciare il naso a chi non si rende conto che lo stesso amore soprannaturale. o agape non sarebbe vero senza l'utilizzazione appropriata della ricchezza emotiva dell'individuo. In un contesto di freddezza, di acidità, di scostante burocrazia, in un clima non familiare e privo di vibrazioni psicofisiche, emotive e sensibili, tale amore sarebbe il tradimento di se stesso. E la santità non sarebbe vera se venisse repressa la ricchezza emotiva della persona. Essa è autentica, se tale ricchezza viene canalizzata dall'intelligenza, purificata dalla grazia e orientata al servizio dell'esperienza dell'amore verso Dio e il prossimo.

Infine, nel rapporto con le Figlie di San Camillo il Tezza mostra il modo gestire la propria sofferenza. Se tutta l'esistenza di P. Tezza è stata attraversata dalla sofferenza - la perdita del papà, momenti di depressione, conflitti - è soprattutto nella realizzazione del progetto della fondazione dell'Istituto che egli ha dovuto percorrere il cammino della croce. 

Oltre le difficoltà incontrate nella Curia romana per far approvare la Congregazione, c'è da ricordare le calunnie di cui è stato fatto oggetto e la separazione dalle sue Figlie. Nel far fronte a queste ferite, P. Tezza ha mostrato tutta la sua grandezza di uomo e di religioso. Non solo ha voluto evitare di difendersi dalle accuse mostratesi ingiuste, ma ha offerto questo grave sacrificio per il bene dell'Istituto. 

Anche il distacco dalle Figlie di San Camillo - prima imposto e poi causato dalla sua partenza per l'America - è stato da lui vissuto come uno strumento per la crescita della Congregazione. A ragione potemmo definirlo un guaritore ferito, una persona, cioè, che ha fatto esperienza di sofferenza e che ha saputo integrare tale esperienza fino a farne una sorgente di guarigione per gli altri. L'integrazione delle proprie ferite è certamente uno dei fattori che spiega la sua sensibilità verso la sofferenza degli altri.

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