"Dammi da bere", dice il Maestro alla discepola di Samarìa.
Il simbolismo dell’acqua è alquanto abbondante nelle pagine bibliche, sin dalle sue prime righe quando nella Genesi troviamo il Creatore che fa aleggiare il suo Spirito sulle acque (Cfr. Gen 1,1). L’acqua è simbolo di vita. L’uomo stesso è costituito di acqua. Senza l’acqua è impossibile la vita. Anche quando una donna mette al mondo un figlio si richiama la simbologia dell’acqua: "si rompono le acque". È da quella rottura che nasce una vita. Ci vuole l’acqua per irrigare e piantare perché spuntino germogli. Il Battesimo poi è incentrato sul simbolismo dell’acqua, quando realmente si rompono le acque del grembo della Chiesa e nascono nuove creature, i cristiani. Questo richiamo delle acque che si rompono rimanda alle acque del Mar Rosso che si aprirono per far passare il popolo ebraico dalla morte alla vita. Era un battesimo quel momento particolare della vita del popolo di Israele. Venivano al mondo. Abbiamo poi, l’acqua del Giordano in cui fu battezzato Gesù. Lì avviene l’incontro tra due mari, il mare di Dio (Gesù) e il mare dell’umanità (l’uomo simboleggiato dall’acqua naturale del fiume Giordano). Al popolo assetato nel deserto durante i quarant’anni di cammino, che mormora contro Dio e contro Mosè per la scarsa fede (Cfr. Nm 20,24; 27,14; Sal 81,8; 106,32) Dio risponde con il prodigio della sorgente scaturita dalla roccia (Cfr. Es 17,2-7; Nm 20,7-11). Dio dona la fede che manca nel cuore del popolo ribelle. Quella fede è espressa con il simbolismo naturale dell’acqua. La fede è una sorgente d’acqua. Quella fede che fertilizza il cuore dell’uomo, come l’acqua fertilizza la terra. Senz'acqua la terra non produce, è arida, non genera. Senza l’acqua della fede il cuore dell’uomo è arido e “improducente”.
Sarebbe sorprendente e interessante cimentarsi in un approfondimento circa il simbolismo dell’acqua nella Sacra Scrittura, in modo particolare nelle pagine del Vangelo di Giovanni per comprendere in realtà il suo rimando (i due miracoli avvenuti per mezzo del lavacro rigenerante nella piscina di Betzaetà - Gv 5,1-9 - e nella piscina di Siloe - Gv 9,7 -, o l’acqua che si muta in vino - Gv 2,1-12 -, oppure la lavanda dei piedi - Gv 13,1-11 -, o ancora, il momento in cui sulla croce dal fianco di Gesù scaturirono sangue ed acqua - Gv 19,31-34).
Gesù chiede alla donna di Samarìa il dono della sua vita. "Dammi da bere", ovvero "dammi la tua vita sterile e arida e io la renderò fertile". Il Signore chiede di cambiare stile di vita, di affidarsi a Dio perché la vita sia producente, generatrice, fertile. Ma invita la samaritana a non sapersi abbeverare di acque sporche, che non dissetano, putride. «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno». E da queste parole scaturisce il desiderio della donna: «Signore, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Sebbene la samaritana non abbia ancora compreso la profondità del discorso di Gesù, comincia però ad avvertire il bisogno di una vita fertile, di una vita che non attinga da pozzanghere o da piccoli laghi artificiali, ma da fiumi che zampillano per la vita eterna. Comincia ad avvertire il bisogno di cambiare acqua, di abbeverarsi a quell'acqua che non la disseti solo per un attimo.
Per questo ci chiediamo: da quale fonte attingo l’acqua per la mia vita spirituale? Di quale acqua mi abbevero per alimentare la mia fede? Vorrei richiamare quella espressione pronunciata da Gesù nel momento più drammatico della sua vita umana quando sulla croce gridò: "Ho sete!". (Gv 19,28). Per questo ci chiediamo: Di cosa ho sete io? Di quale acqua mi voglio dissetare?
Padre Onofrio Antonio Farinola
sacerdote cappuccino
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