“Ascoltatelo!”. È questa la parola d’ordine che ci viene proposta per questa seconda domenica di Quaresima meditando la pagina del Vangelo di Marco che racconta del momento della trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor davanti ai volti stupefatti e impauriti di Pietro, Giacomo e Giovanni. Mi piace mettere l’accento sul verbo “ascoltare”, fermo restando l’importanza che assume l’evento della trasfigurazione, chiaro rimando all’esperienza della risurrezione. Con la trasfigurazione in un certo qual modo Gesù comincia a preparare alcuni dei suoi discepoli all’evento pasquale. È come dire, i discepoli fanno anche loro il cammino della Quaresima che non troverà l’ostacolo nella passione e morte sulla croce di Gesù, ma il compimento nella resurrezione.
Dunque, la parola chiave di oggi potrebbe essere “ascoltare”. Se leggessimo la prima lettura, dal libro della Genesi, con il racconto di Abramo che “viene messo alla prova da Dio” per saggiare la sua fedeltà, ci accorgeremmo di una certa prontezza da parte dell’anziano patriarca. Per ben due volte sentiamo l’eco della risposta di Abramo: “Eccomi”. Dietro questa pronta risposta c’è una dimensione fondamentale che pervade la vita dell’anziano padre Abramo, ed è appunto l’ascolto. Abramo sa rispondere “Eccomi” perché sa ascoltare.
Chi non è capace di ascoltare, non sarà evidentemente capace di rispondere adeguatamente. Senza ascolto non ci potrà mai essere risposta idonea. Oggi non c’è solo crisi di adeguate risposte, ma c’è soprattutto crisi di ascolto.
“Auscultare” dal latino, che vuol dire “sentire con l’orecchio”. “Auris” in latino vuol dire “orecchio”, e sarebbe la radice etimologica della parola “ascoltare”. Da qui “ob audire” che tradotto è “obbedienza”, cioè “prestare ascoltare porgendo l’orecchio”. Verrebbe da dire che oggi c’è un serio problema di udito per tutti. Non si è quasi più capaci di ascoltare, e se ci si sforza di farlo si è assordati da indebiti rumori che distraggono e distolgono l’attenzione dalla voce principale e anche se tentassimo di proferir parola, questa viene sommersa dagli stessi rumori.
Se non si è capaci di obbedire è perché non si è abbastanza esercitati all’ascolto, a porgere l’orecchio alla voce vera, a quella giusta. Mi viene in mente l’esperienza straordinaria di uno dei discepoli di Gesù, il più giovane, Giovanni, il quale la sera del Giovedì santo, cioè la sera dell’ultima Cena, con tenerezza poggiò il suo orecchio sul cuore di Gesù, reclinando così il suo capo sul petto del Maestro. Quel gesto intriso di tenerezza, da parte del giovane discepolo, esprime meravigliosamente la sua capacità di ascolto. Giovanni ha ascoltato i battiti del cuore del suo Maestro Gesù. Quell’ascolto ha prodotto in lui una risposta coerente: non ha risposto con una parola o una promessa, ma con la vita al momento di donarla.
Dovremmo abituarci a saper poggiare il nostro orecchio sul cuore degli altri per ascoltare i loro battiti, le loro esigenze, i loro drammi, le necessità, i bisogni, le grida di dolore sommesse dalla disperazione, i singhiozzi della disperazione che non fa venir fuori la voce, l’eco dei lamenti coperti dall’indifferenza del mondo. Se oggi per esempio il mondo della politica, o della giustizia, o della società civile non è in grado di dare risposte adeguate alla gente, è perché non sa più ascoltare, non ha più la pazienza di ascoltare. Se per esempio noi oggi non ci accorgiamo del dolore e della sofferenza delle persone, magari di quelle che ci vivono accanto, è perché non vogliamo ascoltarle, ci lasciamo sommergere e distrarre dai rumori futili e assordanti.
Lasciamo allora che da oggi in poi dentro le nostre orecchie e il nostro cuore riecheggi la parola “ascolta!”, per poter esercitarci al faticoso lavoro di prestare l’orecchio, di porgerlo per sentire anche le voci più sottili, quelle meno acute e saper rispondere prontamente “Eccomi!”, senza perdere ancora altro tempo inutilmente.
Don Onofrio Farinola
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