Papa Benedetto XVI Testamento spirituale e Testimonianza di Mons. Vincenzo Peroni

𝗧𝗲𝘀𝘁𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝘀𝗽𝗶𝗿𝗶𝘁𝘂𝗮𝗹𝗲

𝘑𝘰𝘴𝘦𝘱𝘩 𝘙𝘢𝘵𝘻𝘪𝘯𝘨𝘦𝘳, 29 𝘢𝘨𝘰𝘴𝘵𝘰 2006
Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare. Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene.

Ringrazio i miei genitori, che mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi. La lucida fede di mio padre ha insegnato a noi figli a credere, e come segnavia è stata sempre salda in mezzo a tutte le mie acquisizioni scientifiche; la profonda devozione e la grande bontà di mia madre rappresentano un’eredità per la quale non potrò mai ringraziare abbastanza. Mia sorella mi ha assistito per decenni disinteressatamente e con affettuosa premura; mio fratello, con la lucidità dei suoi giudizi, la sua vigorosa risolutezza e la serenità del cuore, mi ha sempre spianato il cammino; senza questo suo continuo precedermi e accompagnarmi non avrei potuto trovare la via giusta.

Di cuore ringrazio Dio per i tanti amici, uomini e donne, che Egli mi ha sempre posto a fianco; per i collaboratori in tutte le tappe del mio cammino; per i maestri e gli allievi che Egli mi ha dato. Tutti li affido grato alla Sua bontà. E voglio ringraziare il Signore per la mia bella patria nelle Prealpi bavaresi, nella quale sempre ho visto trasparire lo splendore del Creatore stesso. Ringrazio la gente della mia patria perché in loro ho potuto sempre di nuovo sperimentare la bellezza della fede. Prego affinché la nostra terra resti una terra di fede e vi prego, cari compatrioti: non lasciatevi distogliere dalla fede. E finalmente ringrazio Dio per tutto il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino, specialmente però a Roma e in Italia che è diventata la mia seconda patria.

A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono.

Quello che prima ho detto ai miei compatrioti, lo dico ora a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio: rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica. Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità. Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo.

Infine, chiedo umilmente: pregate per me, così che il Signore, nonostante tutti i miei peccati e insufficienze, mi accolga nelle dimore eterne. A tutti quelli che mi sono affidati, giorno per giorno va di cuore la mia preghiera.


Testimonianza di Mons. Vincenzo Peroni cerimoniere pontificio, presso l'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa Benedetto XVI

Benedetto XVI

Il 19 aprile 2005, dopo l’elezione di Papa Benedetto, è subito nato in me il desiderio di poter incontrare, almeno una volta nella vita, il suo sguardo. Il mio desiderio si è
provvidenzialmente realizzato nel 2009, quando, nominato cerimoniere vescovile, con gioia e trepidazione, ho preparato la Messa della sua visita pastorale a Brescia, in onore di Paolo VI. In seguito a quella visita, qualche mese più tardi, sorprendentemente sono stato chiamato a servire il Papa, presso l’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo
Pontefice, come cerimoniere pontificio.

Anni di grazia e di gioia che mi hanno dato il privilegio di vivere accanto a Benedetto XVI nella parte più nobile del Suo Ministero petrino, la liturgia.
Questa mattina, quando mi ha raggiunto la notizia della sua morte, ero a Cafarnao, sulla casa dell’Apostolo Pietro con alcuni sacerdoti bresciani. Lì, subito, abbiamo celebrato Messa per Lui.

In queste ore, i ricordi si rincorrono e dal cuore nascono molte riflessioni.

Fedele al suo nome di Battesimo, Giuseppe, in ogni suo gesto, ha incarnato l’umiltà e il
nascondimento.

Anche quando gli impegni lo esponevano allo sguardo di milioni di persone, pur non
risparmiando energie e senza sottrarsi alle folle, sembrava volersi nascondere.
La timidezza e la discrezione sono spesso state travisate come freddezza, era, invece, un uomo dal cuore caldo, un sacerdote appassionato e un pastore attento alle grandi questioni come ai piccoli particolari, dalla dolce fermezza.

Appariva fragilissimo nel fisico. L’aspetto esteriore, a un primo sguardo, a tutto faceva pensare tranne che alla solidità della roccia, eppure bastava ascoltarlo predicare e annunciare la Verità e vederlo celebrare i Divini Misteri per comprendere che si era
davanti a Pietro. Dalla sua fragilità traspariva evidente che Gesù è la vera Roccia sulla quale fondarsi. Nelle sue parole, limpide e rigorose, e nei suoi gesti, sobri e solenni, si percepivano solidità e affidabilità. È innegabile che al centro delle sue attenzioni c’era la consapevolezza di dover custodire la FEDE della Chiesa e di confermare i fratelli nella vera fede. Ha segnalato, con puntualità e con tutte le sue energie, che la vera emergenza sulla quale fissare l’attenzione e dalla quale attendere il vero rinnovamento personale, ecclesiale e sociale è la fede in Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo.

Anche il suo modo di amare era riservato, mai alla ricerca della platealità e di gesti
clamorosi. Intenso e puro, come è l’amore vero!
La CARITÀ, virtù teologale, cuore della sua prima folgorante Enciclica.
Chi lo accostava era conquistato dai suoi occhi contemplativi e dolcissimi. L’ininterrotta contemplazione del Mistero di Dio ha reso i suoi occhi dolcissimi sull’uomo. Così si poteva capire che il suo era un amore non prigioniero delle logiche umane e mondane, non soggetto alle fluttuazioni dell’emotività e del consenso. Un amore generato sempre e necessariamente dalla contemplazione della Trinità, di Dio, che è Amore, e che
si traduce in una vita di configurazione a Gesù, Agnello immolato, di cui fare esperienza viva nell’Eucaristia, celebrata e adorata.

Eravamo sempre colpiti, sorpresi e affascinati, dalla sua capacità di vedere oltre. Anche in alcuni momenti delicati, nelle giornate più buie e cariche di tensione, che hanno caratterizzato una fase del Suo Pontificato, quando in Vaticano, nei corridoi, negli uffici e nelle relazioni, si avvertivano forti la tensione e lo sgomento, Papa Benedetto sapeva stemperare il clima con il sorriso, con lo sguardo e con poche parole, semplici e dense di fede: il suo orizzonte era sempre più ampio rispetto alle questioni opprimenti e contingenti, perché era uno sguardo che veniva dall’alto.
La SPERANZA cristiana, figlia della fede, ce l’ha insegnata nel suo alto Magistero e ce
l’ha mostrata nella quotidianità dei suoi gesti.

Davanti a un uomo dalla sconfinata preparazione culturale e dalla rara acutezza teologica, come Benedetto XVI, sarebbe stato naturale sentirsi sempre in imbarazzo, timorosi di sbagliare qualcosa, eppure il suo tratto elegante, gentile e di grande tenerezza rendeva facile stare alla sua presenza e il dialogo con lui assumeva la freschezza della familiarità.
È l’umiltà dei grandi: non schiaccia, ma edifica l’interlocutore. È la grandezza dell’umiltà di chi riconosce che tutto ciò che ha è un dono da condividere e non una ricchezza da esibire.

Ogni volta che entrava in Sagrestia, in San Pietro o nei viaggi apostolici, per indossare
gli abiti sacri prima di una Liturgia, ero sempre raggiunto dalla sensazione che
irrompesse, mite e intensa, la presenza di una realtà altra, un immediato richiamo al
divino. Durante la Liturgia, poi, si avvertiva quasi fisicamente l’intensità della preghiera, l’immersione nel Mistero. Davvero si sperimentava quanto ci ha ripetutamente insegnato: nella liturgia della Chiesa il Cielo tocca la terra. E, sebbene un cerimoniere rischi di essere
distratto dalle mille attenzioni che il servizio richiede, l’intensità e la consapevolezza celebrative di Benedetto XVI sapevano orientarci e riorientarci alla vera preghiera.

Il 4 ottobre del 2020, ho concluso il mio servizio in Vaticano, con un colloquio di circa trenta minuti con Benedetto XVI. Uscendo dal Monastero “Mater Ecclesiae”, all’unisono con la persona che mi accompagnava, con commozione, abbiamo affermato: “un giorno, potremo dire di aver avuto la grazia di vivere accanto e di servire un santo”. Ecco quel giorno è arrivato!

mons. Vincenzo Peroni

Gentile concezione di Mons. Peroni

Mons. Vincenzo Peroni accanto a Papa Benedetto XVI

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